Autrice: Cristiana Campanini - Art Around
«Tutto cominciò quasi per gioco», raccontava Armando Nizzi delle prime mosse con Bruno Munari nella sua galleria, il Centro Operativo Sincron, attivo a Brescia dal 1967 al 2004.
«Eravamo in una trattoria a mezza collina». Continuava rievocando il piglio ludico e in fondo umanissimo che emanava da tutto ciò che riguardava l’uomo e l’artista Munari, ma anche Nizzi stesso. «Prese un cartoncino bianco abbandonato sopra un tavolo e con un pennarello disegnò in pochi istanti il mio nome». Appariva così un paesaggio grafico avventuroso, in un gesto che Munari amava ripetere per i suoi amici come una performance estemporanea. «Tutti i presenti, tra cui molti artisti, si diedero all'affannosa ricerca di fogli adatti e Munari realizzò velocemente altri nomi. Senza mai sbagliarne uno, praticamente sotto dettatura». Nel 1991, lo stesso Nizzi avrebbe racchiuso in un libro quell'emozione grafica simultanea, mostrando tutto il senso profondo delle relazioni che creava con i suoi artisti in galleria. La stessa umanità ed empatia emanava da un’altra iniziativa, una serie di opere su carta dedicate alle mani dei suoi artisti, compagni di strada. L’idea condivisa con loro di contemporaneità era già tutta racchiusa nel nome, Sincron, che stava a indicare simultaneità e automatismo, in un viaggio leonardesco tra arte e scienza.
L’astrazione concreta dominava in galleria, ma anche un certo cinetismo, un’arte programmata tra geometria e movimento. Il suo spazio era allora un piccolo luminoso palcoscenico per una generazione. Italiani e internazionali, gli artisti si avvicendavano in qualche manciata di metri quadri di avanguardia pura.
Nizzi offriva un programma a tamburo battente ai collezionisti e alle giovani menti appassionate della sua città. Ma ciò che dà ancora oggi la misura del suo impegno, tutt’altro che estemporaneo, è il regesto delle mostre, almeno nei primi dieci anni della galleria (ma non solo). Arrivava ad accogliere una decine di personali all’anno. Molte di queste erano di autori alla loro première in Italia e in alcuni casi in Europa, come quella dell’argentino Julio Le Parc e di altri suoi colleghi del GRAV – Groupe de Recherche d'Art Visuel, da François Morellet a Horacio Garcia Rossi. Quelle personali erano affiancate ogni anno da un’ampia collettiva: cartina al tornasole dei suoi interessi e della fitta rete di relazioni internazionali intrecciate negli anni.
«Tutta la sua attività era mossa dalla passione. Non c’erano classificazioni rigide», racconta un frequentatore assiduo della galleria dagli anni Ottanta, il curatore e studioso di Bruno Munari, Luca Zaffarano. Nizzi sapeva, infatti, sviare dagli schemi astratto-geometrici, coinvolgendo nei programmi figure vicine ad altri linguaggi, come il praghese Jiří Kolář, con la sua complessa figurazione; oppure Hsiao Chin, con il suo lirismo astratto. «Lucio Fontana, Getullio Alviani, Max Bill, negli anni aveva saputo intrecciare rapporti profondi, in cerca di un’attinenza etica con gli artisti, come con i suoi interlocutori, i collezionisti, mantenendosi sempre accessibile».
Oltre alle mostre, la galleria era motore di altre complesse iniziative culturali. Nel maggio 1968 un congresso di due giorni dal titolo “Multipli” proponeva “oggetti a funzione estetica”. Erano prodotti in 250 esemplari. “Firmati, numerati e garantiti collettivamente”. Lo scopo degli oggetti? “Comunicare informazioni di carattere estetico a un pubblico vasto e indifferenziato”, come recitava il manifesto firmato da Bruno Munari. Grande diffusione, quindi, ma a un pubblico interessato all’oggetto, non alla speculazione. Negli stessi anni, la Multimedia a Erbusco di Romana Loda, delineava in parallelo le avventure dell’arte femminile, con Mirella Bentivoglio, Tomaso Binga, Ketty La Rocca e Gina Pane. Ma “fare cultura nella capitale del tondino e delle armi da fuoco era una follia programmata”, scherzava. L’impegno, sempre morale, era aperto al nuovo e contrario al culto dell’individualismo. «Non è mai facile riconoscere la qualità, se si pensa solo al denaro».