Autrice: Cristiana Campanini - Art Around
La più composta classicità di Novecento italiano, con la sua ufficialità colta. E poi il fremito dei pittori del colore e dei sentimenti, come Filippo De Pisis, Fausto Pirandello, Renato Birolli, quella linea espressionista, impaziente e sotterranea che scorreva nel fiume dell’arte italiana di regime tra le due guerre, da Milano a Torino a Roma. Sono questi i binari di una revisione critica dei movimenti dell'arte italiana del Novecento che hanno condotto Ettore Gian Ferrari (1908-1982), tra i primi in Italia, a esprimere tutta la complessità di ruolo e di regia del gallerista all’interno del sistema dell’arte.
Con la sua personalità istrionica, ha interpretato e attraversato la storia del mercato. Lo ha fatto da intellettuale, ma anche da scaltro comunicatore e da promotore culturale, battitore libero delle arti, tra musica, letteratura, teatro d’avanguardia.
In via Arcimboldi a Milano, nei primi anni Trenta emerge come gestore di teatro d’avanguardia. Figlio d’arte, il padre, Angelo Ferrari, è direttore d’orchestra; la madre, Jole Papadopulos, di origine greca, è contralto. Con lui va in scena il teatro sperimentale di Filippo Tommaso Marinetti. I fondali sono di Bruno Munari. Il foyer si converte in luogo di rituali, gusti e interessi rinnovati con dipinti e sculture di giovani artisti ad alternarsi ogni 15 giorni. Si apre una strada nuova.
Con un cognome appena reinventato, per distinguersi dal più ovvio Gian Ettore Ferrari, in Gian Ferrari, lascia il teatro per aprire la galleria. Siamo nel 1936 e da stratega, punta sul contemporaneo, in risposta al predominio dell’Ottocento nel collezionismo milanese, borghese e tradizionalista. Ma i linguaggi di rottura non lo conquistano a fondo. E anche per distinguersi dai colleghi, già noti, della Galleria Pesaro (1917-1937, fondata da Lino Pesaro, negli ambienti del Palazzo Poldi Pezzoli in Via Manzoni) o de Il Milione (1930, fondata da Peppino Ghiringhelli), culle della modernità estrema, dal futurismo all’astrattismo, in un sistema che contava non più di sei gallerie a Milano.
Inaugura in via Clerici. Spiazza la critica con una mostra di sole artiste donne, prima rassegna di genere nelle arti figurative. Tra le pittrici c’è anche Alba Bortolotti, figlia dello scultore Timo Bortolotti, che presto sarebbe diventata la compagna di vita. Con lei s’immerge nella scena milanese dell’arte. Arturo Tosi è testimone di nozze. Gli amici Mario Sironi, Marino Marini e Arturo Martini, sono protagonisti in galleria.
Ettore Gian Ferrari interpreta così il ruolo del gallerista a tutto tondo, non solo come sostenitore di una figurazione novecentista e di un espressionismo marcato, a lungo oscurato dalla critica, ma anche come perno strutturale di un sistema. Per 30 anni, dal 1942, è alla guida dell’ufficio vendite alla Biennale di Venezia, fino a infrangersi, in piena contestazione, nelle biennali del dissenso, dal 1968 al 1972, che ne aboliscono il ruolo. Energia ed entusiasmo incrementano le attività nei primi dieci anni, la sua spinta è decisiva nel raddoppiare le vendite nei confronti di privati in Biennale.
Negli anni della ricostruzione egli affianca all'attività primaria di mercante e di gallerista quella di organizzatore di mostre e di premi. Distante dai capricci delle mode, è focalizzato sulla rivalutazione di maestri italiani indipendenti e isolati, passando dai realisti magici come Oppi o Cagnaccio e arrivando fino a Pietro Marussig e Adolfo Wildt o Alberto Savinio, come all’interesse per la ceramica.
La sua lotta ai falsi è senza posa. Nel 1969 nel cortile della galleria, allora in via della Spiga, dà fuoco a una catasta di falsi Sironi. È un atto simbolico che non passa inosservato. La delega dei parenti dell’artista, non lo mette al riparo da cause che sarebbero durate decenni.
Dal 1974 è la figlia Claudia, mercante e appassionata storica dell’arte, collezionista, a dare nuova linfa alla galleria Gian Ferrari, per quasi settantacinque anni punto di riferimento sicuro della vita artistica milanese. Con lei si mantiene, oltre alle aperture al contemporaneo, il legame sentimentale assoluto con il Novecento Italiano, come dimostra la collezione di capolavori di cui si spogliò, ancora in vita, donata a Villa Necchi Campiglio.