Autrice: Cristiana Campanini - Art Around
La sua vita era un teatro. La sua casa lo era, in stanze progressive come colpi di scena. Con i leoni stilofori accanto alle porte-scultura dorate. Con gli enigmi surrealisti di Max Ernst e Sebastian Matta, incorniciati da colonne tortili. Anche la mostra lo era, uno dei molti giri walzer delle gallerie di Alexander Iolas (1907-1987). Ecco la chiave per accedere alla storia di questo ribelle e raffinatissimo gallerista greco. Tutto si giocava su opposti, tra clamore e oblio, ricchezza e dispersione, sentimenti e condizioni proporzionali solo al silenzio che li avrebbe sommersi alla sua morte.
I toni epici gli erano già propri, fin dal nome d’arte. A battesimo, Konstantinos Koutsoudis, preferiva il più melodico e mitologico Alexander Iolas, a unire eroi greci come il condottiero macedone Alessandro Magno e il tebano argonauta Iolao.
La sua galleria? Lo stesso gran teatro di emozioni. Si moltiplicava per tutte le sedi diffuse nel mondo, da Parigi a New York, da Milano (via Manzoni) a Roma, da Atene a Ginevra a Madrid (tra i primi a concepire un’idea di brand da esportare, ben prima di Larry Gagosian).
«Grow forever. Grow eternal», ripeteva come un mantra, avvolto da stanze grondanti preziosità che sarebbero state sfregiate e cancellate dal vandalismo nella sua villa alla periferia di Atene (set del film di Costa-Gavras, “Consiglio di famiglia” con Fanny Ardant). Alla sua morte, finiva invischiata in grovigli legali e incuria, fino al collasso.
Nato ad Alessandria d’Egitto, giungeva a Berlino con una professione in tasca da pianista, ma il desiderio di studiare danza classica, dopo aver ammirato la ballerina russa Anna Pavlova.
Con l'ascesa di Hitler, sceglieva Parigi ad aprirgli la strada del balletto e il milieu d’avanguardia, da Jean Cocteau a Georges Braque, da Pablo Picasso a Max Ernst e Man Ray.
A condurlo per la prima volta in una galleria, in Avenue Matignon, è l’incontro in vetrina di un piccolo dipinto di De Chirico. Mentre il primo acquisto giungeva, poco dopo, con un disegno di Cézanne.
In quei travagliati anni, fino al 1944, passava dalla compagnia di Marquis De Cueva (discendente dei Balletti russi di Diaghilev); a quella di Theodora Roosevelt (nipote del presidente, a cui si deve il trasferimento di Iolas negli Usa).
Il primo colpo di scena nel mercato (e nella storia) dell’arte lo metteva a segno a New York nell’estate del 1952. Iolas era già il direttore della Hugo Gallery, fondata nel 1944 da un terzetto di un certo rilievo, tra famiglie di antica aristocrazia e nuove sconfinate ricchezze made in Usa: Robert Rothschild, Elizabeth Arden e Maria dei Principi Ruspoli, sposata con il nipote dello scrittore francese, Victor Hugo (da cui il nome della galleria). In questa cornice Iolas dava credito a due brillanti sconosciuti: Andy Warhol e Truman Capote. Ecco qui, grazie al suo intuito, germogliare la prima personale del grande protagonista della pop art americana, scagliato nella storia dell’arte con un raffinatissimo dialogo arte e letteratura, dal titolo "Fifteen Drawings Based on the Writings of Truman Capote”.
«Un fiuto eccezionale per i talenti», racconta di lui Francesco Vezzoli. Suo grande ammiratore, è stato tra i primi a spezzare anni di silenzio, con un ampio progetto alla galleria Tommaso Calabro nel 2020, preceduto solo da un affondo su Villa Iolas del Credito Valtellinese nella sede di Acireale nel 2018 e un omaggio della galleria Paul Kasmin nel 2014.
«Le sue scelte erano sofisticate per ampiezza e rigore di visione, dalla grazia del segno di Andy Warhol a un autore duro e difficile come Ed Keinholz. Vorrei esistesse oggi un uomo di quell’intuito».
Nel 1955, apriva la prima sede a New York con l'ex ballerino Brooks Jackson e in fretta assurgeva a re segreto del surrealismo, come lo definivano. Salvava Magritte e Ernst dalla miseria e dall’oscurità, ma sapeva nutrire anche una predilezione verso artisti concettuali ancora sconosciuti. Passava con agilità da Victor Brauner a Joseph Cornell, da Yves Klein e Niki De Saint-Phalle, fino a spalancare il suo sguardo curioso sui giovani italiani Pino Pascali o Eliseo Mattiacci. Conquistava e stupiva con la bellezza e con l’intelligenza, ma anche con dettagli calibrati. Per esempio accompagnava le mostre a progetti editoriali ambiziosi. Erano cataloghi e manifesti, una ricchezza d’idee cresciuta nel dialogo con l’allora giovanissima artista milanese Fausta Squatriti e con l’editore Sergio Tosi. Questi prodotti erano concepiti con la stessa sfrenata libertà di opere d’arte, da condividere poi con i suoi artisti e con i collezionisti. Tra questi è impossibile dimenticare Mr and Mrs John de Menil, la cui Menil collection oggi splende a Houston.
«Indossava spesso una pelliccia di zibellino con la scritta Love intarsiata sulle spalle», continua Vezzoli. Lontano da quello sfarzo, c’era l'arte, dall’ascesa da ballerino a quella da mercante d'arte. E poi c’è un altro dettaglio, legato al rapporto con Warhol. Iolas è stato il motore della sua prima come dell’ultima mostra, a Milano, a Palazzo delle Stelline, un omaggio a Leonardo e all’Ultima Cena in 100 variazioni sul tema, che giungeva nella sua vita come un monito, poco prima della sua morte, il 22 febbraio 1987. Quattro mesi dopo Iolas sarebbe scomparso di AIDS nel medesimo ospedale, il Medical Center di New York. L’ultimo giro di walzer insieme, tra arte e vita. «Quando i galleristi producono sogni, meritano sempre di essere ricordati. A quel punto, siamo disposti a perdonare loro tutto».