Cultura Arte

Eugenio Carmi e la sua piccola utopia sulla spiaggia

 

Autrice: Cristiana Campanini - Art Around

Dal 1963 al 1967, la casa del multiplo in Italia ridefinisce un'idea di confine dell'arte. Dalla commercializzazione al pubblico, il viaggio della Galleria del Deposito nella serialità dell’arte, da un ex deposito di carbone a Boccadasse, verso Europa e Stati Uniti.

Eugenio Carmi al lavoro nel suo studio a Boccadasse. Fotografia di Lisetta Carmi/Martini & Ronchetti. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.

Reti da pesca, stese ad asciugare. Barche in attesa di prendere il largo, con il fare della notte. In un borghetto sulla spiaggia, alle porte di Genova,  travolto dal profumo della salsedine, si ritrovava un covo d’avanguardia negli anni Sessanta. In un ex deposito di carbone, una galleria internazionale di multipli d’arte metteva casa dal 1963 al 1967. Motore di una produzione di mostre e di multipli a tamburo battente. Foulard, oreficeria, ceramica. Perfino vassoi in acciaio smaltato. E poi un fiume di grafiche, stampate dalle mani esperte di Brano Horvat, artista e stampatore.

La Galleria del Deposito a Boccadasse sapeva toccare apici di sperimentazione, anche in un luogo così piccolo e remoto, coinvolgendo personalità come Bruno Alfieri, Gillo Dorfles o Emanuele Luzzati.


 

In primo piano la storica dell’arte croata Vera Horvat Pintaric (moglie dello stampatore e artista Brano Horvat), accanto a Eugenio Carmi. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.
Un’immagine dello studio di Eugenio Carmi a Boccadasse. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.

Alle difficoltà di una geografia inaspettata, ovviava con un notiziario mensile. Era una newsletter ante litteram, in italiano e in inglese. Così puntava a Europa, ma anche Stati Uniti. La sua agente commerciale, a Los Angeles, era Eugenia Butler, irrefrenabile ed eccentrica collezionista e gallerista dalla storia avventurosa e irrimediabile.  Quel foglio piegato, in formato A5, racchiudeva grafiche, oggetti firmati in esemplare unico ma anche in piccola serie. Tutto era accompagnato da un listino prezzi per raggiungere il pubblico dell’arte, ma non solo. Per questo si colonizzavano gli scaffali della Rinascente di Milano, ma anche le caselle di posta di musei e di gallerie, di artisti, critici e collezionisti.

“In questa pagina pubblicheremo periodicamente alcune delle opere e degli oggetti che la galleria offre al pubblico”, dichiarava nel suo primissimo numero il suo artefice Eugenio Carmi, artista che qui aveva anche il suo studio e la casa di famiglia.

Foglio del catalogo del primo gruppo di opere grafiche edite dalla Galleria del Deposito, 1963. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.
Foglio del catalogo del primo gruppo di opere grafiche edite dalla Galleria del Deposito, 1963. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.
Foglio del catalogo del primo gruppo di opere grafiche edite dalla Galleria del Deposito, 1963. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.

«Dobbiamo fare qualcosa di nuovo», sintetizzava Carmi, allenato alla produzione industriale all’Italsider, come art director (1958-1965). Dopo la laurea in ingegneria chimica a Zurigo e gli esordi figurativi sotto la guida di Casorati a Torino, diventava artista in fabbrica, motore di relazioni nuove tra arte e industria. Il lavoro allora era febbrile. Carmi produceva mostre, filmati sperimentali, libri e riviste con copertine di Mathieu, Capogrossi, Consagra e con compagni di strada come Umberto Eco. Si spingeva fino a riprogettare i cartelli antifortunistici e a invitare scultori in officina, da David Smith ad Alexander Calder.

Riunione del consiglio direttivo della Galleria del Deposito. Foto di Kurt Blum. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.

Dalla fabbrica trasferiva nell’arte l’aspirazione a una vasta produzione, pronta a viaggiare e a insinuarsi nella società. Serialità, quindi, dimensioni ridotte, prezzi accessibili, si declinavano alla galleria Il Deposito, che concepiva i suoi ideali come parte delle strategie di comunicazione della galleria. Ma non era tanto una forma di merchandising d’arte, piuttosto una nuova frontiera ideologica. Era condivisa da una generazione di artisti, certi di una prossima rivoluzione sociale, come il Gruppo T nei medesimi anni.

Eugenio Carmi, con la moglie e artista Kiki Vices Vinci, Gianlupo Osti ed Erika Blum, alla Galleria del Deposito. Courtesy Publifoto e Archivio Eugenio Carmi.
Eugenio Carmi accanto a Giulio Confalonieri e Gillo Dorfles, alla Galleria del Deposito. Foto di Ada Ardessi. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.
Max Bill, Margit Stabler e Konrad Wachsmann alla Galleria del Deposito. Foto di Lisetta Carmi/Martini & Ronchetti. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.

Il multiplo era il simbolo di una democratizzazione possibile. Decenni dopo, con fascinazione e distacco, Germano Celant definiva quella disseminazione di opere ad alta tiratura nella società come  “The small utopia”, nella mostra per Fondazione Prada nel 2012. Negli anni Sessanta quell’esperienza viaggiava parallela a realtà internazionali come i gruppi Mec-Art e Mat; oppure le gallerie Denise Réné a Parigi e Multiples di New York. Ciò che distingue però la cura nella produzione di questi multipli posta da Carmi, che si definiva “fabbricante di immagini”, era la specificità delle linee guida richieste per quelle opere. La serialità, ad esempio, non rendeva affatto generico l’obiettivo e le richieste dell’artista-gallerista: i bozzetti dovevano essere inediti e concepiti ad hoc, come estensione di un preciso supporto e materiale. I foulard, ad esempio, nascevano già, nei colori e nel segno, per accogliere, riflettere e valorizzare i cangiantismi della seta. Ciascuno aveva un preciso titolo, come un’opera indipendente. Gli autori a firmarli erano diversissimi, da Lucio Fontana (1899-1968) a Emanuele Luzzati (1921-2007), da Getulio Alviani (1939-2018) a Carmi stesso, ma anche un esponente del Bauhaus come Max Bill (1908-1994).

Ma cos’era esattamente la Galleria del Deposito in quegli anni? La casa del multiplo in Italia oppure un avamposto di sperimentazione per un nuovo orizzonte contemporaneo (ancora attuale). Resta oggi affascinante indagare questa visionaria declinazione di galleria, un po’ cooperativa, un po’ piccolo editore, oggi forse si direbbe artist-run space.

Numero ventotto, 1964, Giuseppe Capogrossi. Serigrafia su carta bianca, cm. 50X70. Tiratura 80 esemplari. Firmata a matita: Capogrossi 64. Stampatore: Brano Horvat. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.
Alfabeto, 1964, Eugenio Carmi. Serigrafia su carta bianca, cm. 50X70. Tiratura 40 esemplari. Firmata a matita: Carmi 64. Stampatore: Brano Horvat. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.
GD 1, 1964, Victor Vasarely. Serigrafia su carta nera, cm. 50X70. Tiratura 80 esemplari. Firmato a matita: Victor Vasarely. Stampatore: Brano Horvat. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.
Strutturazione, 1965, Arnaldo Pomodoro. Serigrafia su carta bianca, cm. 50X70. Tiratura 60 esemplari. Firmata a matita: Arnaldo Pomodoro 65. Stampatore: Brano Horvat. Courtesy Archivio Eugenio Carmi.