Cultura Arte

Emilio Bertonati, il mercante che riscrive la storia dell’arte.

Autrice: Ilaria Chiodi - Art Around

Con un piglio da critico e un’anima d’artista, questo gallerista-intellettuale disegna le traiettorie dell’inesplorato. Tra Milano, Monaco di Baviera e Roma, la sua Galleria del Levante affonda al cuore del Novecento, puntando a correnti come la Nuova Oggettività, lo Jugendstil o l’Avanguardia Russa.

Emilio Bertonati. Archivio Famiglia Bertonati.

Raffinato e visionario uomo di mondo. Storico, critico, artista, curatore, collezionista e gallerista. Emilio Bertonati (Levanto, 1934 - Milano, 1981) ha saputo interpretare e riscrivere, con la serietà dello studioso e l’audacia del mercante, una porzione di secolo della storia dell’arte moderna. Da battitore libero, controcorrente, lontano dai favori della critica, ha portato per primo in Italia la Nuova Oggettività tedesca, nel 1968, quando ancora era sconosciuta persino in Germania.

L'ingresso della Galleria del Levante in via della Spiga 1 a Milano, post 1967. Archivio Famiglia Bertonati.
Werner Tübke, Disegno preparatorio per il Ritratto di Emilio Bertonati, 1975, matita su carta. Collezione privata.

Con la sua esperienza di gallerista, Emilio Bertonati, padrone del gusto e dell’intuito, ha riavvolto il nastro della storia dell’arte, in un viaggio a ritroso che ha fatto luce sui nomi dimenticati di autori tedeschi, Christian Schad, Otto Dix, Franz Radzwill, George Grosz, e italiani come Cagnaccio di San Pietro, Edita Broglio. Talenti riscoperti dalla sensibilità rabdomantica di Bertonati, che viaggiava tra l’Italia e il resto d’Europa per conoscere gli artisti, visitarne gli atelier e approfondirne la poetica.

Emilio Bertonati nel giorno in cui gli venne conferita la Croce al merito della Repubblica Federale Tedesca, 1974. Archivio Famiglia Bertonati.

Bertonati si era laureato in Architettura a Firenze, benché non ne fece mai un mestiere. Quando era arrivato a Milano agli inizi degli anni Sessanta preferì la carriera del gallerista, alla quale aveva da subito affiancato in maniera indissolubile quella di critico e studioso. La scelta di aprire la Galleria del Levante coincideva infatti con il bisogno di ritagliarsi uno spazio maggiore di libertà, di pensiero e di azione. Uno spazio dove esporre i risultati delle sue ricerche e delle sue intuizioni, con rigore intellettuale e con la consapevolezza del suo ruolo di apripista.

«Con la sua parallela e collegata attività di studioso e di mercante va mostrando che spesso gli atti critici più vivi e stimolanti ci vengono da chi, con l’arte, ha impastato tutti i propri sensi e non solo il proprio cervello», così scriveva dell’amico Giovanni Testori, tra i pochi a sostenere con appassionata sincerità l’attività della Galleria del Levante. Bertonati credeva nella funzione culturale del mercato e del collezionismo: «Ai miei clienti non ho mai promesso acquisti-investimento. Li ho invitati piuttosto ad arricchire le loro raccolte con opere uniche e ancora poco conosciute, ad apprezzare autori che erano stati ingiustamente dimenticati».

Emilio Bertonati e Otto Dix nell'atelier dell'artista, 1964 ca. Archivio Famiglia Bertonati.
Cagnaccio di San Pietro, Natura morta con zucca, 1939, olio su cartone. Collezione privata.

La Galleria del Levante riecheggia nel nome quello del paese che aveva dato i natali al gallerista, Levanto, a cui resterà sempre legato. A ospitarla era un appartamento al primo piano di un palazzo storico di via della Spiga che si aggiungeva a quella serie di gallerie che in quegli anni affollavano le vie del centro di Milano. Le sale della Galleria del Levante però si trasformarono presto nelle stanze dell’arte moderna, da quando esordì non ancora trentenne, nel 1962, con una mostra di disegni di Klimt, Kubin e Kokoschka. Nulla di simile si era mai visto prima di allora.

Emilio Bertonati nella sua casa di via Vivaio a Milano, con alle spalle il dipinto "La Primavera" di Miximilian Lenz. Archivio Famiglia Bertonati.
Christian Schad, Schadographie 102, 1975, stampa ai sali d'argento montata su cartoncino. Collezione privata.
Christian Schad, Ritratto di Emilio Bertonati, 1971-1975. Museum im Kulturspeicher, Würzburg.

In un momento in cui Milano puntava sul contemporaneo, assistendo allo svolgersi concitato di esposizioni di pura avanguardia nelle gallerie di punta, tra le proposizioni monocrome di Yves Klein, le sperimentazioni concettuali di Manzoni e l’esordio della Pop Art americana con Robert Rauschenberg, Bertonati scommetteva sull’arte figurativa di inizio secolo. Senza tenere conto dei gusti della moda intraprendeva in solitaria strade imbattute, scopriva nuovi percorsi.

La revisione critica diretta da Bertonati aveva riaffermato il valore storico-artistico dell’espressività cruda della Nuova Oggettività, delle atmosfere cupe del Simbolismo europeo, fino a quello dell’Art Nouveau e della fotografia sperimentale tedesca e ungherese. In anni in cui erano considerati “poco più che ciarpame da soffitta”.

Emilio Bertonati nella sua Galleria del Levante durante la mostra "Il contributo russo alle Avanguardie plastiche", 1964. Archivio Famiglia Bertonati.

Il fiuto raro e il gusto per l’inesplorato lo portano a viaggiare senza sosta, a incrociare la vita e l’opera di artisti il cui talento allora subiva l’avanzata delle esperienze pop oltreoceano e di quelle astratte europee. A queste la Galleria del Levante resisterà per affermarsi, con le sue tre sedi, tra Milano, Monaco di Baviera e Roma come punto di riferimento per la Nuova Oggettività, lo Jugendstil, l’Avanguardia Russa. A interrompere l’attività della galleria fu la morte volontaria, covata da tempo, di Bertonati, sopraggiunta troppo presto, nel maggio 1981.