Autrice: Cristiana Campanini - Art Around
Scultrice della parola, Bentivoglio distilla parole da leggere, da ascoltare, ma soprattutto da guardare. Le sue lettere assumono sembianze visive. Sono disposte sul foglio bianco, come opere in uno spazio vuoto. Il flusso è incontenibile, tra calembour, sinestesie, associazioni inattese, giochi semantici e simbolici.
Celebre e icastico è il suo logo della Coca-Cola. La sua leziosa forma a cuore s’infrange contro un titolo feroce, “Il cuore della consumatrice obbediente”. Il contenuto di quel segno grafico, racchiuso in un arabesco elegante, è la parola “Oca”, che suona come una condanna di una certa idea di femminile civettuolo e asservito ai consumi.
Le parole e le lettere, anno dopo anno, si plasmano anche nella materia. Sono perfino da toccare o addirittura da abitare, nella terra, nel legno e nella pietra.
Nata a Klagenfurt, in Austria, nel 1922 da genitori italiani, Mirella Bentivoglio è cresciuta nella Svizzera tedesca, tra collegi e università, i suoi studi raggiungono anche l’Inghilterra. Così, fin da ragazza, sviluppa vaste e raffinate competenze plurilinguistiche, dettaglio che ha senz’altro nutrito le sue sperimentazioni con la parola, seme nella terra della sua opera.
È vasta la sua attività poetica, in italiano e inglese, pubblicata per Scheiwiller e Vallecchi, con illustri recensori come Giorgio Caproni e Mario Praz. Ma presto il linguaggio trova una sua collocazione nell’immagine.
Le neo-avanguardie di quegli anni fanno da cornice a una ricerca verbo-visuale, di cui diviene protagonista assoluta, con un suo personalissimo stile.
Il suo lavoro ha una componente umana fortissima, come ricordava in un suo motto spesso rievocato “Bussate ai sogni e vi sarà aperto”. Bentivoglio è stata al centro di un mondo. La sua casa ai Parioli ha ospitato critici, scrittori, intellettuali, come Mario Praz, Gillo Dorfles, Palma Bucarelli, Carlo Belli, Filiberto Menna.
Nel 1968 ha acquisito l’idoneità all’insegnamento dell’estetica e della storia dell’arte nelle accademie italiane, in un inesausto viaggio trasversale, tra arte, critica, scrittura.
Il linguaggio eclettico di Mirella Bentivoglio è quello di una poetessa, nella limpidezza assoluta del rintocco della parola, come suono e poi come immagine. Ma è anche quello di un’artista. Il calore ludico e sfrontato della sua ricerca di matrice concettuale, infatti, ha anche una sua declinazione plastica. E poi c’è la sua attività critica. Da sempre si è dedicata alla valorizzazione di un'arte tutta al femminile. Prima sono arrivate le ricerche storico artistiche sulle donne futuriste, poi un lavoro determinato di sostegno e valorizzazione delle colleghe.
Ha catalizzato le migliori energie della sua generazione, come dimostra "Materializzazione del linguaggio" ai Magazzini del Sale, collettiva curata in occasione della Biennale di Venezia del 1978, prima ricognizione dedicata al tema di genere racchiusa nella rassegna veneziana, un ventaglio vasto che ha raccolto un’ottantina di nomi. È stato questo un episodio fondativo, nell’accendere i riflettori su un mondo sommerso di donne nell’arte. Questo complesso sistema, è una rete intrecciata per anni con cura e pazienza. Complice è stato anche un fitto carteggio con molte protagoniste di quella generazione, un lavoro di valorizzazione delle fragilità, un sostegno al coraggio di queste artiste, intessuto con Ketty la Rocca, Betty Danon oppure Amelia Etlinger (1935-1987), con le sue lievi e drammatiche lettere-sculture decorate con fiori, merletti, nastri e stoffe.
Le qualità umane di Mirella Bentivoglio si sprigionano nella parola, tra testo e immagine. E sono sempre inscindibili da quelle artistiche.